5 febbraio: Giornata per la prevenzione dello Spreco Alimentare. Ripartiamo dalla Dieta Mediterranea per un sistema alimentare più sostenibile e giusto
In tal senso, il 5 febbraio si celebra la Giornata di Prevenzione dello Spreco Alimentare, indetta dal Ministero dell’Ambiente, insieme all’Università di Bologna e la campagna SprecoZero.
Secondo le stime della FAO circa il 30% del cibo prodotto in tutto il mondo non viene consumato (FAO, 2011), mentre solo nell’Unione Europea se ne sprecano 88 milioni di tonnellate, una quantità pari a 179 Kg pro capite (Unione Europea, 2016). Questa enorme quantità di cibo sprecato non solo indica che le risorse sfruttate nella produzione (combustibile, acqua, terra e materia prima) sono finite nel cassonetto insieme all’alimento, ma anche che le emissioni di gas serra che ne conseguono dalle diverse fasi di produzione, trasformazione e distribuzione sono inutili (FAO, 2011). Tuttavia, i dati riguardanti lo spreco alimentare variano significativamente a seconda della fonte, ciò è probabilmente dovuto alle diverse metodologie e interpretazioni usate per stimare lo spreco alimentare (Unione Europea, 2016). È solo dal 2018, con l’aggiornamento del Waste Framework Directive (2018/851), che è stata adottata una comune definizione di spreco alimentare all’interno dell’UE28, nella quale per spreco alimentare si intende “qualsiasi cibo, e parti non commestibili di cibo, che sono escluse dalla filiera alimentare al fine di essere eliminate” (FUSIONS, 2016). Nella Delegated Decision del 3 maggio 2019, è stata poi stabilita una metodologia unica in tutta l’UE per misurare lo spreco alimentare determinando in tal modo un importante passo in avanti nella conoscenza delle proporzioni del fenomeno.
In Italia il più importante studio in materia è stato condotto da Garrone, Melacini e Perego (2015), i quali hanno sviluppato un modello chiamato ASRW (Availability, Surplus, Recoverability and Waste). Il modello si basa sul concetto di food availability, che comprende il cibo prodotto nelle diverse fasi della filiera alimentare, dalla produzione alla vendita. Al cui interno sono incluse tre categorie:
- consumed food, il cibo commestibile distribuito sul mercato e consumato dagli uomini;
- surplus food, il cibo commestibile che, per varie ragioni, non è venduto o consumato, e che ha perso le sue caratteristiche di merce ma non quelle di alimento, perciò è invenduto ma non invendibile;
- food scrap, cibo non commestibile, ovvero non adatto al consumo umano.
Relativamente alla gestione del surplus food, il concetto di spreco alimentare ha tre differenti prospettive: sociale, quando il cibo eccedente non è consumato dall’uomo; zootecnico, quando non è utilizzato per alimentare né gli uomini né gli animali; ambientale, quando non viene recuperato in alcuna forma. Quindi, lo spreco alimentare è inteso come l’eccedenza di cibo che non viene né recuperata per nutrire gli uomini (prospettiva sociale) né gli animali (prospettiva zootecnica), né per produrre nuovi beni o energia (prospettiva ambientale). Considerando la prospettiva sociale, gli autori stimano che circa 5,5 milioni di tonnellate di cibo commestibile sono sprecate in Italia. Ma dove viene prodotto lo spreco alimentare? Lo spreco alimentare è generato lungo tutta la filiera alimentare, dagli stadi iniziali della produzione al consumo finale. È possibile dividere la filiera in cinque fasi:
- produzione: agricoltura, pesca e allevamento;
- gestione e conservazione delle materie prime;
- produzione industriale: processi di trasformazione del cibo e confezionamento;
- distribuzione e mercato: centri di distribuzione, mercato all’ingrosso, mercato al dettaglio;
- consumo: consumo familiare, mense, ristoranti e bar.
Le principali fonti di spreco alimentare nella prima fase sono: sovrapproduzione, raccolti lasciati nei campi, non conformità con gli standard estetici richiesti dal mercato.
Nella seconda fase invece lo spreco alimentare è essenzialmente dovuto a contaminazioni di parassiti, funghi o batteri che rendono il cibo non commestibile, o problemi di vario genere che si possono verificare durante il trasporto (ad esempio morte improvvisa degli animali destinati al macello oppure malattie che li rendono non consoni alla macellazione).
Mentre per la terza fase, cause di eccedenze alimentari possono essere ricondotte a difetti nel confezionamento (confezione ammaccata, etichette vecchie, ecc…) e al raggiungimento del limite stabilito per la vendita ai distributori (che corrisponde a 1/3 della shelf life del prodotto), mentre lo spreco alimentare è dovuto principalmente ai limiti tecnologici del processo.
Nella quarta fase, le eccedenze alimentari sono generalmente dovute al raggiungimento della data di scadenza stabilita dal venditore, da un’errata valutazione nell’ approvvigionamento o da sbagliate strategie di marketing.
Nel consumo familiare lo spreco di cibo può derivare da acquisti di quantità superiori al necessario, generalmente a causa di offerte che sono la conseguenza dell’abbondanza di cibo che arriva sul mercato e dalle manie consumistiche contemporanee, da prodotti deperibili che non vengono conservati correttamente o che non vengono consumati entro la data di scadenza, dalla confusione che si fa riguardo le diciture “consumare preferibilmente entro” e “consumare entro” (Caraher & Furey, 2017). Mentre, nella ristorazione, la principale causa di eccedenze alimentari è rappresentata da errori nella domanda di approvvigionamento di materie prime e la sovrapproduzione di servizio.
Garrone, Melacini e Perego (2015) hanno stimato che in Italia il 53,6% delle eccedenze alimentari è causato da fattori legati alle fasi di produzione, conservazione e distribuzione, il 3,4% da ristoranti, catering e mense, mentre i consumatori finali contribuiscono per il 43%. Infatti, diversamente dai paesi “in via di sviluppo”, ove le scarse capacità di conservazione e le inefficienze tecnologiche di una produzione che si vuole industriale a tutti i costi hanno il maggiore impatto in percentuale sullo spreco alimentare, nei paesi “sviluppati” la quota maggiore di eccedenza avviene al livello di mercato e consumo (Caraher & Furey, 2017).
Quanto detto fino ad ora non può non farci riflettere. Non può non farci aprire gli occhi su quelli che sono i difetti e i fallimenti del sistema alimentare odierno; che non adempie a quelli che realmente dovrebbero essere i suoi principali obiettivi: nutrire le persone in modo sostenibile ed evitare fame e malnutrizione. Tutt’altro vediamo invece nelle nostre società. Dove la crisi economica, l’impennata dei prezzi alimentari e le profonde trasformazioni del mercato del lavoro hanno portato milioni di persone ad avere difficoltà nel reperire il cibo necessario al benessere della propria famiglia. Ma non è dando ai poveri gli avanzi dei ricchi che si può pensare di risolvere squilibri di questo tipo. Sono numerose le contraddizioni e le problematicità che scaturiscono dalla normalizzazione di un sistema di distribuzione delle eccedenze come risposta alla povertà alimentare. Inoltre, le tensioni che sono alla base delle relazioni che si instaurano tra coloro che donano il cibo e coloro che lo ricevono dovrebbero farci interrogare fortemente sulla nostra idea di giustizia sociale, poiché queste modalità non riconoscono il cibo come diritto umano ed anzi non fanno che aumentare la nostra condiscendenza verso le disuguaglianze.
Inoltre, la persistenza di alti livelli di malnutrizione, così come la drammatica crescita di malattie legate a questa non sono che ulteriori esempi di come il cibo stia ormai perdendo la sua dimensione culturale e identitaria in favore del più puro dei processi di reificazione. Se il cibo è solo una merce, allora può essere buttato al pari del contenitore di plastica che lo contiene.
Produrre meno, produrre meglio e per tutti. Ma soprattutto recuperare la ricchezza culturale, la sapienza e le pratiche tradizionali che provengono dalla dieta mediterranea, dove la frugalità, il rispetto della natura, la convivialità, le tecniche di conservazione del cibo e la salvaguardia del territorio sono l’essenza stessa della vita. È da questo che dobbiamo ripartire per riuscire a realizzare un sistema economico più sostenibile e giusto. In fondo “tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus” (Italo Calvino – L’impero di Kublai).
Davide Vanacore
Master in “Italian Food and Wine” – Università di Padova
Bibliografia
Bagherzadeh, M, M Inamura, e H Jeong. «Food Waste Along the Food Chai.» OECD Food, 2014.
Caraher, Martin, e Sinèad Furey. «Is it appropriate to use surplus food to feed people in hunger? Short-term Band-Aid to more deep rooted problems of poverty.» Food Research Collaboration Policy Brief, 2017.
FAO. «Global food losses and food waste – Extent, causes and prevention.» Rome, 2011.
FUSIONS. 2016. http://eu-fusions.org/index.php/about-food-waste/280-food-waste-definition.
Garrone, Paola, Marco Melacini, e Alessandro Perego. Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità. Milano: Guerini e Associati, 2015.
Papargyropoulou, E, R Lozano, JK Steinberger, e et al. «The food waste hierarchy as a framework for the management of food surplus and food waste.» Journal of Cleaner Production, 2014: 106 – 115.
Unione Europea. «Estimates of European food waste levels .» 2016.
Vivero Pol, Jose Luis. Food as a Commons: Reframing the Narrative of the Food System. 2013.