Biodiversità. Le origini del vino

L’origine e la domesticazione della vite, da tavola e da vino, finora avvolta in un mistero di difficile decifrazione, risalgono a circa 11 mila anni fa, grazie a due differenti eventi di domesticazione separati geograficamente circa 1.000 km, avvenuti in Asia occidentale e nella regione del Caucaso meridionale.

Nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Science, conquistando anche la copertina, un gruppo internazionale di ricerca ha riportato la più vasta analisi genetica mai condotta sulla vite, un dataset finale di 2.448 genomi di vitigni unici (a partire dai 3.500 sequenziati), raccolti da 23 istituzioni in 16 nazioni del mondo. La ricerca è stata guidata dall’Università di Yunnan (Cina) e dal Laboratorio di genomica vegetale di Shenzhen (Cina), con la collaborazione italiana delle Università di Milano (Prof.ssa Gabriella De Lorenzis), Milano-Bicocca (Prof. Fabrizio Grassi) e Mediterranea di Reggio Calabria (Prof. Francesco Sunseri), e dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Cnr-Ibbr) di Palermo (Francesco Mercati).

Il risultato della ricerca dimostra che gli eventi di domesticazione della vite selvatica sono stati in realtà due, smentendo i lavori precedenti che indicavano un solo evento nel Caucaso. Secondo i ricercatori, i due eventi sono avvenuti contemporaneamente, circa 11 mila anni fa, quindi in concomitanza con l’avvento dell’agricoltura e 4 mila anni più tardi rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Sebbene l’evento di domesticazione nel Caucaso meridionale sia associato alle prime vinificazioni (fonti storiografiche), l’origine del vino in Europa nasce dall’incrocio tra le viti selvatiche di questa Regione e le uve domesticate del Vicino Oriente, inizialmente utilizzate solo per il consumo fresco (uva da tavola), stabilendo quattro grandi gruppi di viti coltivate in Europa lungo le rotte migratorie dell’uomo.

Per arrivare a questi risultati, i ricercatori hanno sequenziato nel dettaglio il DNA del progenitore selvatico, comparandolo con il DNA dei circa tre mila campioni raccolti in tutto il mondo. In questo modo, gli autori hanno anche identificato alcuni geni, relativi a sapore, colore e consistenza dell’uva, che potrebbero aiutare i viticoltori a migliorare i loro prodotti e a rendere le varietà attuali più resistenti ai cambiamenti climatici.

Infine, è stato dimostrato che l’aumento degli scambi commerciali hanno favorito il commercio di cultivar superiori tra le regioni euroasiatiche e ciò è risultato particolarmente evidente nelle cultivars italiane che condividono tre o più parentele genetiche con altre cultivars, ponendo le basi per uno studio definitivo della grande biodiversità vitivinicola italiana con la sfida a districare la storia genealogica di molte cultivar, peraltro già ben avviata in precedenti lavori degli stessi autori italiani.

L’articolo completo è disponibile al seguente link: https://www.cnr.it/it/news/11765

Fonte CNR